mercoledì 22 settembre 2021

Napoli grande Città europea

Acqua Bene Comune: Napoli si è messa al pari con altre importanti città europee che hanno cacciato i privati. I tedeschi per primi avevano ceduto i beni pubblici ai privati tramite le “public private partneships”, rivelatesi ben presto autentiche rapine ai danni dei cittadini. Monaco di Baviera ha saggiamente tenuto lontani i saccheggiatori. Berlino, truffata tramite un contratto segreto si è ribellata e si è ripresa l’acqua, fino all’ultima goccia. E a Parigi vince la rivoluzione dell’acqua libera.

Ormai pare una noiosa litania: dobbiamo prendere esempio dai paesi europei che hanno già fatto le riforme indispensabili per superare la crisi. Renzi ormai è solo un tristo ricordo, ma il suo coro ancora ci canta la storiella delle riforme, dei mercati, delle agenzie di rating, degli investitori ed altre minacciose figure. Anche il covid-19 non è riuscito a farli smettere e c'è addirittura chi promuove il nucleare. Ma cosa vogliono riformare veramente?
  Una volta, quando la politica parlava una lingua comprensibile, ci si batteva magari per la riforma agraria: era chiaro che si trattava di dare la terra ai contadini. Le riforme oggi sono senza aggettivi ed è ormai evidente che, invece di dare, si vuole togliere. C’è poi chi insiste ancora che ci dobbiamo allineare con gli altri paesi europei. Ma siamo proprio gli ultimi della classe? Nel 1987 e con un referendum, l’Italia decise di uscire dal nucleare, quando in Germania le centrali radioattive andavano alla grande e nessuno —a parte i verdi, allora ancora impegnati nelle prime incerte battaglie— pensava di chiuderle.
  Berlusconi ha poi cercato di riaprire le centrali, ma un altro referendum ci ha messo sopra una pietra tombale nel 2011. Possiamo ben dire che, se qualcuno ha copiato, è stata la Merkel a copiare da noi, quando ha chiuso una decina di centrali tedesche sulla tragica scia di Fukushima, mettendosi contro le peggiori sfacciate lobby energetiche europee.
  Da un po’ di tempo ci si ripete che dovremmo imitare la Germania o la Francia, cedendo finalmente la gestione dell’acqua ai privati, nonostante il suddetto referendum con la Commissione Europea che ha fatto marcia indietro sullo stesso argomento, dopo aver perorato la causa delle società piratesche. Ma poi, pensandoci bene, non sarebbe così sbagliato fare come in Germania o Francia.
  In Germania c’è l’allegra città di Monaco di Baviera dove ogni ottobre migliaia di italiani vanno a gonfiarsi di birra. Ebbene, alla città italiana a nord delle Alpi, come i bavaresi amano definire la propria metropoli, non è mai passata neanche per l’anticamera del cervello l’idea di privatizzare l’acqua. L’azienda municipale è interamente in mano pubblica ed oltre a distribuire l’acqua potabile, forse la migliore in assoluto di tutta la Germania, gestisce le reti fognanti ed è tra i maggiori produttori tedeschi di energia. È esemplare anche da un punto di vista ambientale, essendo proprietaria di gran parte dei terreni ricadenti nei bacini imbriferi delle sorgenti dell’acquedotto ed i terreni sono dati in uso gratuito a coltivatori esclusivamente biologici. Inoltre per il 2025 è previsto il 100% di energia rinnovabile per il rifornimento della città, che così diverrebbe la prima città milionaria al mondo tutta ad energia pulita.
  Christian Ude, già sindaco socialdemocratico di Monaco, strenuo difensore dell’acqua pubblica, non ha mezze parole: “La privatizzazione è bella solo il primo giorno, quando si incassano i soldi della vendita, ma poi si resta a mani vuote: non si ha più nulla, non si ha il controllo sull’evoluzione delle tariffe, sulla qualità ecologica, una vera e propria abdicazione del Comune.”
  Sono ormai tantissimi i comuni della grande Germania che si battono, anche con notevoli successi, contro ulteriori privatizzazioni e soprattutto per la rimunicipalizzazione dell’acqua e di altri servizi. Qui ci dà un bell’esempio Berlino. Dopo che nel 1999, alla chetichella, sulla base di un contratto secretato, inaccessibile agli stessi membri del Senato cittadino, l’acqua era stata data in gestione a due ditte private, l’opposizione, soprattutto tra la cittadinanza, si è mobilitata, giungendo a due referendum che hanno tra mille difficoltà e resistenze palesi o occulte riportato in mani pubbliche l’acqua.
  La guerra praticamente è vinta, ma qualche battaglia ancora è da combattere. Si tratta di snidare i manutengoli delle multinazionali da partiti e strutture amministrative, la stay behind dei monopòli. Una caratteristica tipica della guerra per l’acqua è che qualsiasi operazione e movimento del mostro assetato è accompagnato da un massiccio lobbismo, una propaganda che non bada a spese ed evidenti ed occulti fenomeni corruttivi.
  Strabiliante è quanto avvenuto a Parigi, città sede dei capofila delle multinazionali assetatrici, Suez e Veolia, per intenderci. Già da qualche anno l’acqua è tornata interamente pubblica. Quello dell’acqua è un settore estremamente appetibile per imprenditori ed investitori famelici e senza scrupoli, dato che si tratta della “richiesta incomprimibile” di un bene che alla fonte non costa nulla. A questo si aggiunge il fatto che tutta l’operazione relativa ai servizi non è altro che un’operazione criminale di grosse proporzioni per il saccheggio del patrimonio pubblico e la rapina a danno degli utenti. 

La Fontana del Carciofo

  Ci vorrebbe un voluminoso manuale per spiegare come funziona l’operazione, ma si potrebbe riassumere così: Prima di tutto imporre agli enti pubblici un limite di bilancio, impedendogli di assumere crediti e sottoporlo a debiti impagabili. Secondo passo corrompere qualche politico ed alcuni funzionari chiave, accompagnando la mossa con una martellante campagna che mira a convincere tutti che il comune è in crisi per via della gestione pubblica e che solo i privati amministrano bene. Messo alle strette, il comune cede la gestione dell’acqua potabile e della rete fognante (se c’è anche la produzione di energia), ma si tiene le strutture (reti idrica e fognante) di cui deve continuare a pagare la manutenzione (che però non farà più né il comune ed ancor meno il gestore privato). Sarebbe a dire che il privato vende solo l'acqua, che non gli costa niente, ed il comune ha tutte le spese. Per l’acquisto il privato paga una cifra sbalorditiva, cosa che fa notizia e porta a credere anche agli scettici che la PPP (Public Private Partnership) forse conviene. Che in verità non sia così, si capisce in seguito, dato che il diavolo si nasconde in clausole tenute segrete, inaccessibili anche ai membri del consiglio comunale. Praticamente i soldi che il comune non può prendere in prestito dalle banche li prende dal gestore privato, al quale li dovrà restituire nel corso degli anni a tassi da usura: un mutuo camuffato pagato interamente con i soldi dei contribuenti. Intanto gli impianti deperiscono, la qualità dell’acqua cala e le bollette salgono al cielo (e vanno tutte in tasca al privato), mettendo in difficoltà gli utenti, i quali, con falsa cortesia, vengono ora chiamati “clienti”.
 Riassumendo: chi vuole la privatizzazione è briccone o corrotto. Bisogna dunque difendersi con decisione e grande forza da ogni tentativo di far tornare in luride mani la nostra Acqua Bene Comune.

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